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Per prima cosa cerchiamo di analizzare e dare un significato all’espressione “comunicazione non verbale”. Supponiamo di doverci relazionare con un essere che non abbia nulla di umano e che soprattutto non parli la nostra lingua: un’alieno, un extraterrestre venuto da un’altra galassia e, per non avere dubbi, che sia anche sordomuto. In questi termini la comunicazione non potrà sicuramente essere verbale, cioè attraverso una qualsivoglia serie di vocaboli o suoni emessi dalla bocca e percepiti dall’orecchio mediante il senso dell’udito e comprensibili da entrambi. Per comunicare e farci capire, lo dovremo pertanto fare attraverso altri mezzi, e la cosa più semplice e naturale sarà quella di farlo gesticolando con le mani e con il corpo. Riportando tale situazione nel mondo equino, mediante l’impiego di varie posizioni del busto, delle braccia, delle mani e delle gambe, cercando di simulare il più possibile e nel migliore dei modi gli atteggiamenti che assumono tra loro in natura i cavalli, e che potremmo definire “messaggi di corpo”, riusciremo ad intraprendere, da terra e faccia a faccia, una sorta di comunicazione con questi stupendi animali, che diverrà via via tanto più profonda quanto più saremo in grado di entrare con rispetto nel loro modo di “pensare”. Non è comunque questa la sede per addentrarci nello specifico delle tecniche e dei particolari dei vari messaggi di corpo. Supponiamo ora che questo “omino verde” arrivato dallo spazio sia talmente sfortunato da essere, oltre che sordomuto, anche cieco: il comunicare diverrà ulteriormente complicato.

Non potendo più usufruire nemmeno del senso della vista, la relazione dovrà avvenire attraverso qualcos’altro: il tatto. Il reciproco contatto del corpo e delle mani dovrà essere talmente semplice, chiaro e preciso da far comprendere al nostro interlocutore ciò che intendiamo comunicargli. Ritornando per similitudine nel nostro mondo più veritiero, nel momento in cui saliremo in sella al nostro amico a quattro gambe, ci troveremo nelle identiche condizioni di cui sopra. Dovremo comunicare con lui da una posizione, la sua schiena; in cui non potrà vederci, sarà come se fosse, in un certo senso, cieco. Non potrà vedere i “messaggi di corpo”: li potrà solo percepire attraverso il contatto con alcune parti del nostro corpo. Ma perché siano facilmente comprensibili, tali messaggi dovranno necessariamente essere semplici, chiari e precisi! Semplici: perché il solo fatto di non vederci procura uno certo stato di timore e confusione e soprattutto perché il nostro amico cavallo ha un “modo di ragionare” molto semplice, come un bambino va letteralmente “accompagnato” anche nelle più elementari richieste di avanzare, fermarsi, girare o spostarsi ed ha quindi bisogno di elaborare ed assimilare tali richieste singolarmente. Chiari: perché nella semplicità della richiesta, non devono esserci possibilità di fraintendimenti, non deve sorgere alcun dubbio su ciò che intendiamo comunicargli con quella determinata azione. Precisi: perché non dobbiamo dare nulla per scontato, la precisione delle nostre azioni di richiesta deva diventare praticamente assoluta durante tutte le sue ripetizioni per non creare confusione alcuna, soprattutto nelle fasi dell’addestramento. Ed è qui che entra in gioco l’importanza dell’assetto che, intendiamoci, non è da confondere con la “posizione” da assumere in sella, che può variare a seconda delle diverse discipline intraprese: dressage, salto ostacoli, monta western, corse in piano ecc…. ma è la “capacità di mantenere l’equilibrio nel movimento indipendentemente dalla posizione assunta”. Per intenderci, è l’essere in grado di fumarsi una sigaretta intanto che si beve un buon caffè dopo aver letto il giornale il tutto fatto in scioltezza e leggerezza alle tre andature, passo trotto e galoppo. Senza arrivare a tanto è comunque la capacità, in tutte le andature di rimanere in equilibrio sul baricentro del cavallo in leggerezza e senza tensione alcuna in modo che le due masse, la nostra e quella del cavallo, si muovano all’unisono ed in piena armonia.

Con un assetto non corretto, per cercare di trovare e mantenere forzatamente l’equilibrio, si perderanno inevitabilmente la precisione e la chiarezza delle richieste e conseguentemente, al fine di effettuare le necessarie correzioni imprecise risposte del cavallo, la semplicità, perché andremmo a sovrapporre più azioni contemporaneamente. Un buon assetto ci permetterà innanzitutto di essere e rimanere sul baricentro in tutte le situazioni a vantaggio, conseguentemente, della nostra sicurezza; ma anche di trovarci in quella zona che definirei “neutra” ove cioè la nostra struttura ed il nostro peso vengono meglio tollerati dal cavallo e da cui potremo partire per comunicare tutte le richieste del caso attraverso il contatto tra i due corpi. Tali richieste verranno eseguite mediante spostamenti del nostro corpo o pressioni effettuate con le cosce o con i polpacci o con i talloni nelle diverse zone del suo costato o spostamenti delle braccia, delle mani ed anche delle dita, ma saranno molto chiare e precise perché non dovremo preoccuparci della nostra stabilità in sella e tutte le parti del nostro corpo saranno completamente indipendenti le une dalle altre. E più il nostro assetto sarà ineccepibile, più tali azioni diverranno talmente minime sino a risultare, con il migliorare dell’addestramento, praticamente impercettibili quasi venissero sostituite dal solo pensiero.

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